Inseguita dalla polizia una ragazza, Francesca, complice di un furto, si unisce a un gruppo di mondine che vanno al lavoro stagionale nelle risaie. Qui viene raggiunta dal suo Walter, che vuole recuperare la refurtiva ma poi decide, con l’aiuto di Silvana, una bella mondina con cui balla una sera, a impossessarsi del riso raccolto. Il sergente che rappacifica una folla di rivoltosi contro Francesca, accusata da Silvana di essere crumira, si azzuffa quindi con Walter e lei se ne invaghisce. Francesca, d’altra parte, ha capito dove Walter vuole andare a parare e si dispiace che anziché rubare ai ricchi ora si voglia impadronire del raccolto. Chiede quindi aiuto al sergente e i quattro hanno un confronto finale in una macelleria, dove i due maschi si feriscono. Silvana capisce che Walter ha usato Francesca e ora sta usando anche lei e gli spara, poi si suicida. Francesca dopo lo choc, può quindi ricominciare la propria vita con il suo sergente.
Note a margine
Con Riso amaro, Giuseppe De Santis, che all’epoca aveva 32 anni, ritrasse con successo l’equivalente italiano di quelle grandi migrazioni contadine che erano state al centro di tanto cinema americano, a cominciare da The Grapes of Wrath (Furore, 1949) di John Ford. Lo fa circondandosi dei personaggi dell’intrigo poliziesco in un clima quasi western, con il sergente-sceriffo, generoso e cavalleresco, e il rude e attraente “villain” impersonato da Vittorio Gassman. Il personaggio più interessante è tuttavia quello interpretato dalla statuaria mondina Silvana Mangano, un carattere inedito nel cinema italiano fino ad allora, «il tipo dei giovani incoscienti, incapaci di comprendere la propria condizione e di lottare accanto ai propri compagni, perché deviati verso una vita fittizia che li condanna all’annientamento», racconta il regista.
Scrive Carlo Lizzani, che del film fu soggettista e sceneggiatore: «De Santis vorrebbe girare dei film che avessero sullo sfondo, o addirittura come protagoniste, quelle lotte sociali che così spesso, in altri paesi dove la censura dei produttori è più discreta, hanno dato vita a film potenti e incisivi […]. Senza una adesione distesa a questi contenuti, la forma di De Santis si avviluppa e si impenna, cerca uno sfogo ora nell’allegoria, ora nell’esercizio tecnico, ora nell’esaltazione naturalistica del lato istintivo e sensuale dei personaggi, approdando a risultati di alto prestigio tecnico e formale e assicurandogli comunque una costante posizione di protagonista nel cinema di quegli anni».
Tra i meriti storici va ricordato il tentativo (rimasto in seguito isolato) di coinvolgere nella realizzazione un grande nome della musica classica d’avanguardia, Goffredo Petrassi. Riso amaro guadagnò nel 1951 una nomination agli Oscar per miglior soggetto a Carlo Lizzani e Giuseppe De Santis.