Ai margini di Milano, vivono in una baraccopoli alcuni poveri, tra i quali Totò, un orfano ingenuo che cerca di fare del bene come può. Il terreno dove abitano alla meno peggio viene però conteso da due ricchi speculatori edilizi. Intanto Totò s’innamora di Edvige, una ragazza povera come lui, domestica presso una famiglia caduta in disgrazia e finita anche lei a vivere nel campo; mentre Lolotta, che aveva trovato Totò bambino sotto un cavolo e l’aveva allevato, ora morta e trasformata in una sorta di fata, lo protegge e gli dona dal cielo una colomba magica. Quando si scopre che sotto il terreno vi è del petrolio, per i poveri non resta che andarsene. La colomba stessa diventa motivo di contesa, con i poveri che si lanciano a esprimere i desideri più assurdi. Né si riesce a far cambiare idea a Mobbi, il ricco che infine ha acquistato il terreno. Anche se la forza pubblica viene in un primo momento sbaragliata, protestare è inutile. Non resta che volare via.
Note a margine
Ispirato al romanzo Totò il buono (1940) di Cesare Zavattini, il film all’uscita sorprese e sconcertò la critica, anche se vinse il festival di Cannes, un Nastro d’argento per la scenografia e altri premi. Dopo Ladri di biciclette, film precedente nato dalla collaborazione tra De Sica e Zavattini, racconto crudo sulla disoccupazione e la miseria delle borgate, questa favola surreale si distacca decisamente dal quotidiano e racconta con straordinarie trovate di sceneggiatura un mondo di contrasto tra l’avidità grottesca dei capitalisti e i sogni di poveri barboni che alla fine, volando via dalle baracche, vanno in cerca di un mondo dove “buongiorno vuol dire davvero buongiorno”. Insomma, la felicità è possibile solo nell’utopia o in paradiso: una buffoneria tenera che ricorda in qualche modo Charlie Chaplin e René Clair e che mette dietro i titoli di testa un quadro di Bruegel sul “mondo alla rovescia”.