Si dice che il tempo aggiusta tutto… Ma chissà se il tempo esiste davvero? Forse il tempo è solo una credenza popolare, una superstizione, una scaramanzia, un trucco, una canzone. Il tempo si passa a immaginare, ad aspettare, e poi, all’improvviso, a ricordare. Ma allora, le cose belle arriveranno? O le cose belle erano prima?
La fatica e la bellezza di crescere al Sud in un film dal vero che narra tredici anni di vita. Quella di Adele, Enzo, Fabio e Silvana, raccontati in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la prima giovinezza nella Napoli piena di speranza del 1999 e l’inizio dell’età adulta in quella paralizzata di oggi.
Quando nel 1999 Ferrente e Piperno realizzarono Intervista a mia madre, un documentario per Rai Tre che voleva raccontare dei frammenti di adolescenza a Napoli, ai loro quattro protagonisti chiesero come si immaginavano il loro futuro: loro risposero con gli occhi pieni di quella luce speciale che solo a quell’età possiede chi ancora sogna “le cose belle” e con quell’auto-ironia tipica della cultura partenopea che li aiuta a sdrammatizzare, esorcizzare e, spesso, rimuovere gli aspetti problematici della loro vita. Al tempo stesso da quegli occhi traspariva una traccia di scaramantico disincanto. Forse perché la catastrofe imminente, sempre in agguato nella loro città, è una minaccia – nonché un alibi – che rende spesso le vite dei napoletani cariche di rassegnazione, e questo Adele, Enzo, Fabio e Silvana lo sapevano, per istinto e per educazione.
Dieci anni dopo, passando dalla Napoli del rinascimento culturale, che attirava artisti da tutto il mondo, a quella sommersa dall’immondizia, i registi sono tornati a filmare i loro quattro protagonisti per un arco di tre anni: oggi l’auto-ironia ha ceduto il posto al realismo, e alle “cose belle”, Fabio, Enzo, Adele e Silvana non credono più. O forse hanno imparato a non cercarle nel futuro o nel passato, ma nell’incerto vivere della loro giornata, nella lotta per un’esistenza, o sarebbe meglio dire, resistenza, difficile ma dignitosa: spesso nuotando controcorrente, talvolta lasciandosi trasportare.
Dalle Note di regia
Questo ci creò un disagio palpabile: causato dalla difficoltà della loro condizione, dalla situazione di Napoli, che ormai stava andando alla deriva sotto gli occhi del mondo, e dalla paura di speculare cinematograficamente su tutto questo. La paura e il disagio si sono poi affievoliti, fino a sparire, grazie alla loro forza vitale, all’indisponibilità ad arrendersi, alla dignità con cui cercavano di rimanere a galla. E se da una parte certi sguardi spenti e privi di sogni ci sembravano la conferma di come tutto fosse andato come previsto, dall’altra, quegli stessi sguardi, ci comunicavano la fine dell’innocenza e l’inizio di una disincantata consapevolezza che li metteva in pace con se stessi. I nostri due ragazzini erano diventati uomini, così diversi tra loro ma ugualmente legati dalla precarietà del lavoro. Le due ragazze adolescenti erano donne, una delle due mamma di una bimba, l’altra mamma “adottiva” di sua madre e dei suoi fratelli.