Dame dell’alta società, parvenu, politici, criminali d’alto bordo, giornalisti, attori, nobili decaduti, alti prelati, artisti e intellettuali veri o presunti tessono trame di rapporti inconsistenti, fagocitati in una babilonia disperata che si agita nei palazzi antichi, le ville sterminate, le terrazze più belle della città. Ci sono dentro tutti. E non ci fanno una bella figura. Jep Gambardella, 65 anni, scrittore e giornalista, dolente e disincantato, gli occhi perennemente annacquati di gin tonic, assiste a questa sfilata di un’umanità vacua e disfatta, potente e deprimente. Tutta la fatica della vita, travestita da capzioso, distratto divertimento. Un’atonia morale da far venire le vertigini. E lì dietro, Roma, in estate. Bellissima e indifferente. Come una diva morta.
Dalle Note di regia
Penso che il presente non sia solo il parto del contingente, ma anche il frutto della persistenza indefinita dei sentimenti, delle difficoltà e delle gioie dell’eterna commedia umana. Senza dubbio, la volgarità e una percezione di decadimento dilagano nel presente, il senso di vuoto attanaglia l’esistenza di una grande capitale, non esclusivamente Roma, ma le vite che vi si muovono dentro sono animate da dinamiche che tendono a ripetersi nel tempo. Gli smottamenti e gli slittamenti dell’animo umano sono impercettibili nei brevi periodi. Inoltre, mi sembrava allettante provare a raccontare come la volgarità, la decadenza, la sensazione del vuoto implica negli individui un atteggiamento duale: da un lato fa aleggiare la condanna morale, dall’altro esercita un’innegabile, ingestibile forza attrattiva. È un vecchio gioco che non smette mai di essere attuale e concreto.