Marcello, giornalista da rotocalco, lasciate da parte le ambizioni letterarie, si muove negli ambienti mondani della capitale, testimone pigro e indolente di un’umanità che sembra aver perso ogni punto di riferimento. Dalla scena iniziale, nella quale vediamo una statua di Cristo appesa a un elicottero sorvolare il quartiere Tuscolano di Roma tra ruderi antichi e palazzoni freschi di costruzione, fino a quella finale sulla spiaggia all’alba, con il grosso pesce putrefatto in secco e la ragazza che, la voce coperta dal rumore del mare, chiama inutilmente un Marcello ormai lontano, con il sorriso ebete, l’espressione stordita di chi ha ormai deciso di lasciarsi andare alla dolce vita, la messa in scena felliniana ci introduce in una dimensione come sospesa tra la realtà quasi documentaria della Roma che tutti conosciamo e la composizione onirica che la trasfigura, accostando situazioni e personaggi in un affresco composito che ne svela la profonda, inquietante natura.
Attraverso una serie di memorabili sequenze, il procedere quasi erratico di Marcello, le sue incursioni che hanno come base di partenza quella via Veneto (che il film renderà famosa in tutto il mondo), ci guidano in una sorta di viaggio in cui sacro e profano, volgarità e chiassosa smania festaiola, dubbio e disperazione esistenziale si giustappongono marcando le tappe di un percorso il cui punto d’arrivo è la rinuncia a ogni speranza di restituire senso all’esistenza.
Note a margine
Alcune scene come quella della diva americana, interpretata da Anita Ekberg, che si bagna nella fontana di Trevi invitando Marcello a raggiungerla, un titolo particolarmente azzeccato, le polemiche per uno spogliarello, l’acutezza quasi divinatoria dello sguardo felliniano, qui sicuramente coadiuvato da uno dei co-sceneggiatori, Ennio Flaiano (basti pensare alla sequenza delle crudeli riprese televisive sul luogo d’una presunta apparizione della Madonna), il neologismo che, da allora, designa gli invadenti fotografi delle riviste scandalistiche originato dal cognome di uno di loro, Paparazzo, e molto altro che nel film coninvolge e ispira, hanno sicuramente contribuito a fare de La dolce vita un cult-movie della cinematografia mondiale.