Dopo il trattato di Parigi del 1946, Pola viene annessa alla Jugoslavia e gli italiani che vi abitano, per lo più, evacuano la città. Convinto dall’amico Sergio e nonostante l’opposizione della moglie Silvana, Berto, con la prospettiva di diventare proprietario dell’officina dove fa l’operaio, decide di restare. Con l’arrivo del governo comunista però le cose vanno male, i macchinari sono confiscati e gli italiani rimasti vengono trattati con diffidenza. Alla sua ribellione, dopo aver fatto partire la moglie per Trieste, gli slavi reagiscono rinchiudendolo in un campo di lavori forzati. Berto riesce poi a fuggire e tenta di raggiungere con una barca l’Italia, ma viene ucciso da una mitragliata.
Note a margine
Mescolato a materiali di repertorio del vero esodo (girati dal documentarista Enrico Moretti), il film si collega alla poetica neorealista, con fotografia contrastata e prevalenza di interni che aggiungono senso di claustrofobia al racconto. La combinazione dei diversi patrimoni musicali, curata dal fratello del regista, completa il senso di un film che è stato considerato poco per il suo valore filmico e più spesso criticato per ragioni politiche e di solo contenuto. Il titolo, ripreso da Dante, accomuna Pola all’inferno.