Adriana Astarelli è una bella ragazza della provincia contadina pistoiese, spigliata e non introversa e tuttavia sola e ingenua ora che vuole far strada, per migliorare la propria condizione, nel crudele mondo dello spettacolo della capitale. Per questo motivo la ragazza usa tutti i propri mezzi (sana bellezza, commuovente ignoranza, sinceri slanci affettivi), lavora come può e aderisce al corteggiamento di molti uomini: squallidi opportunisti come un agente pubbliciario, un press agent e uno scrittore, ma anche inutili precari, come un giovane ambiguo, un borghese, un attore; annega lo sconforto nella musica del giradischi o in una nuova pettinatura, ma viene umiliata da gelosie e invidie, meschinità e soprattutto dal “male oscuro” dell’inutilità, e poi dall’indifferenza di quel mondo che si vanta di averla conosciuta bene solo dopo averla illusa e sfruttata e condotta (complice la scoperta d’essere incinta senza neanche sapere di chi e la notizia della morte improvvisa della sorella, ma ancora di più la stanchezza e la delusione per un futuro incomprensibile o assente) al suicidio.
Note a margine
Inno al candore magistralmente interpretato da una Stefania Sandrelli di gran razza e naturalissima, insieme a denuncia dei luoghi comuni dell’ottusa borghesia romana, del suo arrivismo che brucia i desideri della gioventù e del sottobosco del mondo dello spettacolo balordo e caricaturale, il film si fa notare anche per il lavoro di montaggio e per la musica di Piero Piccioni, nella quale s’intarsiano diverse canzoni dell’epoca.
Io la conoscevo bene è un’opera che si colloca degnamente all’interno della tradizione della grande commedia all’italiana, avvalendosi d’una pregevole sceneggiatura firmata, oltre che dal regista, dalla collaudata coppia Scola-Maccari (già autori de Il sorpasso). Il risultato è uno spaccato di un’epoca in trasformazione, una radiografia di un “boom economico” dietro al quale si nascondono ignoranza, alienazione, perdita d’ogni valore, solitudine.
Prodotto da Turi Vasile per Ultra Film/Les films du siècle/Roxy Film, pensato inizialmente per Sandra Milo, il film rivelò Stefania Sandrelli, imposta dal regista contro il parere di tutti, e fruttò tre Nastri d’argento: all’attore non protagonista (Ugo Tognazzi, che rende indimenticabile un’unica apparizione nei panni di un attore che mendica una scrittura), alla sceneggiatura (Scola e Maccari) e alla regia (Pietrangeli), giudicata interessante soprattutto per l’impostazione frammentaria della narrazione, che è strutturata a episodi che si succedono con un ritmo sempre più incalzante sino al tragico epilogo.
Pietrangeli riesce, sapientemente, a costruire un linguaggio profondamente connaturato al nucleo tematico che innerva l’intero film. Le categorie, quasi morali, della frammentazione, della discontinuità, l’assenza di quell’unità e organicità che sono tipiche della cultura contadina dalla quale Adriana proviene, anzi fugge, si incarnano in un’organizzazione del materiale narrativo fondata sulla mera giustapposizione di personaggi e situazioni. In questa scelta coraggiosa, Pietrangeli si colloca quindi fuori, dal punto di vista formale, dagli schemi della tipica commedia all’italiana, più influenzato semmai dalla francese école du regard.