“Il gemello” è il nomignolo di Raffaele. Ha 29 anni e due fratelli gemelli. È entrato in carcere all’età di 15 anni per aver rapinato una banca, da 12 vive lì dentro. Raffaele non è un detenuto normale, ha carisma e gode di grande “rispetto” da parte degli altri detenuti. Il carcere circondariale di Secondigliano (Napoli) è la sua casa; lì, in quel luogo di dolore, vive con il suo compagno di stanza Gennaro, coetaneo e condannato all’ergastolo. Con lui lavora alla raccolta differenziata dei rifiuti e grazie a questo lavoro mantiene la sua famiglia d’origine. Raffaele ha un rapporto speciale anche con Niko, il capo delle guardie carcerarie con cui parla e si confronta. Niko sta cercando di introdurre nelle sezioni carcerarie che dirige regole più umane e attente all’individuo. Il film è un viaggio all’interno dei luoghi fisici e dell’anima di Secondigliano, dagli spazi angusti alle celle, al parlatoio in cui si incrociano le esistenze dei tre protagonisti tra piccoli e grandi avvenimenti.
Dalla Scheda PDF di approfondimento
Raffaele non è Steve McQueen (ci si ricordi di Papillon), né Domenico è Robert Redford (quello di Brubaker): il vero eroismo è il quotidiano, le vere lezioni sono quelle del giorno per giorno; e il film non vuole celebrare, ispirare, far sognare, edificare o spiegare il mondo, più onestamente e semplicemente vuol fare un ritratto (non dimenticando le parole di Martin Buber quando dice che “l’infinito dovrebbe essere racchiuso in ogni azione dell’uomo, quando parla, guarda, ascolta, cammina, si ferma e si corica”). Il film di Marra rinuncia, infine, a raccontare il “tipico” e a fare quella sorta di ritratto mai autentico d’una situazione esemplare, di un personaggio (o meglio di una relazione tra personaggi) che non ha nome o indirizzo precisi. Secondo la tradizione appunto del vero ritratto, esso cerca piuttosto l’eccezionale nell’identità, fuori dal ciascuno e dall’ognuno, verso un modo documentario di riconoscimento, senza cioè stereotipi o pregiudizi.
Dalle Note di regia
Mi ero prefissato anche l’obiettivo di ridurre, ancora più di quanto fatto in precedenza, il confine tra fiction e documentario. Volevo trovare una drammaturgia, costruire sul campo un film che tenesse viva l’attenzione e che l’interesse potesse crescere minuto dopo minuto con sorprendenti micro avvenimenti regalati da questo particolare micro mondo, ma senza alterare nulla. Ho deciso quindi di provare a muovermi come se stessi girando un film di finzione, ma senza calpestare il difficile campo della realtà.