In una villa della provincia piacentina vive una famiglia composta da una madre cieca e quattro figli: l’epilettico Ale, il ritardato Leone, la morbosa Giulia legata ad Ale e innamorata del fratello maggiore Augusto, l’unico “normale” quanto meschino. Ale decide di sollevare il fratello “sano” dal peso dei familiari “tarati” dando il via a una serie di drammatici omicidi: la madre cieca finisce in un burrone, Leone viene annegato nella vasca da bagno, Giulia sconvolta cade per le scale diventando invalida. Quando Ale (che nel frattempo ha rivelato all’inconsapevole Augusto tutta la verità, impedendogli di andarsene per farsi una nuova vita) verrà colto da una delle sue periodiche, gravissime crisi, Giulia non potendo né volendo intervenire in suo aiuto, lo lascerà morire.
Un atto di accusa potentissimo nei confronti delle degenerazioni dell’istituzione familiare.
Note a margine
Clamoroso esordio di un giovanissimo Marco Bellocchio, il film e il suo autore segnarono una svolta nel cinema degli anni ’60. Estremistico nella caratterizzazione dei personaggi I pugni in tasca adotta i registri del grottesco e del paradosso senza restarvi intrappolato e riuscendo, attraverso una felice orchestrazione registica, ad approdare a una sorta di sintesi poetica che finisce col sublimare la sgradevole ferocia necessaria alla potenza della denuncia e all’effetto dissacratorio. Efficacissimo lo sconvolgente Lou Castel.
Raramente una personalità d’autore si è rivelata con tanta certezza. L’esempio di Bellocchio condizionerà fortemente le successive leve cinematografiche, attratte dal suo esasperato, coraggioso, autobiografismo.
Soggetto e sceneggiatura dello stesso regista, montaggio di Silvano Agosti (nascosto dietro lo pseudonimo di Aurelio Mangiarotti). Bellocchio tornerà sul tema, diciassette anni dopo, col film Gli occhi, la bocca affidando ancora il ruolo principale all’attore anglo-svedese.