Il piccolo comune di Brescello è retto da un’amministrazione comunista guidata dal sindaco Peppone che è anche segretario del partito. Dall’altro lato della barricata i democristiani vedono invece come loro campione il parroco Don Camillo. Come prevedibile, i contrasti tra le due opposte fazioni non mancano e sono di natura molteplice: la costruzione della casa del popolo da un lato e dell’oratorio dall’altro finirà con il rappresentare il clou dello scontro. La gara vedrà alla fine un’inaugurazione simultanea dei due edifici, esempio di compromesso storico ante litteram.
Don Camillo, che nel corso della vicenda avrà dato prova di un’insolita (per un prete) dimestichezza nell’arte di menare le mani, verrà trasferito in un paesino di montagna, pronto a ricomparire nel secondo film della serie intitolato appunto Il ritorno di Don Camillo.
Note a margine
Primo dei sette della serie e dei due realizzati dal grande Duvivier, il pilota della serie, ben interpretato da un ipercinetico Fernandel e da un trombonesco Gino Cervi, si avvale della regia “colta” di uno degli esponenti del realismo francese, Julien Duvivier.
Le riprese vengono effettuate a Brescello, nella bassa reggiana, dove sono stati ambientati i film tratti dai racconti di Giovanni Guareschi, in altrettante location: portici, chiese e bar che costituiscono quel “mondo piccolo”. I luoghi reali conferiscono alla trasfigurazione fiabesca dello scontro tra le due grandi ideologie del dopoguerra credibilità ed efficacia.
Nel 1989, un gruppo di appassionati della fortunata serie allestisce in un ex-convento benedettino il Museo di Peppone e Don Camillo, dove si possono ammirare, tra gli altri “cimeli”, la bicicletta di Fernandel e la moto di Peppone.
Don Camillo incassa un miliardo e mezzo di lire, piazzandosi in testa alla classifica del box office nella stagione 1951-52.
Il settimo della serie (di Terence Hill), anacronistico remake privo di idee, uscì nel 1984.
Come si evince dalla sequenza iniziale in cui la voce fuori campo cita l’incipit del libro di Guareschi (Mondo piccolo: Don Camillo): “Ecco il paese…”, mentre la macchina da presa carrella sulla campagna pianeggiante. Duvivier si limita a una regia di servizio. La trasposizione dalla pagina scritta allo schermo è professionalmente impeccabile, la vividezza conferita al materiale letterario è potente e il “piccolo mondo” di Guareschi prende vita senza far rimpiangere il libro, tuttavia il film, tra i pochi che il regista ha girato dopo il periodo bellico, è forse quello che più degli altri ha fatto dire, dolorosamente a qualche critico, che Duvivier nel dopoguerra è praticamente “scomparso”.