Una lunga notte senza fine, senza stagioni, senza tempo. Un lavoro secolare che è orgoglio, maledizione. Km di gallerie. Buio. Uomini neri. Una donna. Patrizia, unica minatrice in Italia dialoga con un padre morto, un ricordo mai sepolto. 150 minatori, gli ultimi, pronti a dare guerra al mondo “di sopra” per scongiurare una chiusura ormai imminente. Dal profondo girato interamente 500 metri sotto il livello del mare, una “voce” che arriva dal centro della terra, una preghiera che ai morti è dedicata, ai vivi chiede ascolto: “De profundis, clamavi ad te, O Domine…”
Dalle Note di regia
Ho percepito la presenza di una storia, di qualcosa che mi stava aspettando e che senza sapere stavo cercando. Ho iniziato a visitare questi luoghi con un sentimento di curiosità infantile e di rispetto reverenziale un po’ come entrare in un castello abbandonato, dove è possibile sentire ancora la presenza di tutti quelli che ci abitavano un tempo. Di più: come attraversare da unico superstite un mondo scampato all’apocalisse. Interi villaggi abbandonati; il più delle volte mi sono trovata davanti ad antichi ruderi, ma in molte occasioni ho passeggiato nelle “laverie” dove le donne lavavano il carbone, ho sfiorato con le mani i cognomi dei minatori scritti a vernice rossa sui muri delle case, ho calpestato le rotaie su cui il carbone veniva trasportato dalle profondità della terra verso il mare.