Finita la guerra, Nicola, Antonio e Gianni, tre partigiani divenuti amici, si dividono e tornano alle loro vite precedenti: Antonio riprende a lavorare in ospedale, Gianni termina gli studi universitari e Nicola torna a fare l’insegnante. Casualmente Gianni e Antonio si ritrovano e si raccontano: Gianni ambisce a diventare avvocato mentre Antonio si è fidanzato con Luciana, un’attrice. Ambizioso, arrivista e cinico, Gianni non perde tempo a rubare la compagna al suo amico e a lasciarla poi per Elide, figlia di un palazzinaro arricchito. Gianni e suo suocero scendono in affari truffaldini e Elide decide di suicidarsi in un incidente stradale, disperata perché il marito sta con lei solo per interesse. Anche la svampita Luciana, sentendosi abbandonata da tutti, compreso da Nicola con cui ha avuto una brevissima relazione, tenta il suicidio, ma viene però salvata da Antonio. Nicola e Antonio, intanto, si ritrovano a combattere ancora per quelle loro idee politiche che tanto avevano difeso durante la guerra. Per essersi scontrati con il potere democristiano, Nicola viene discriminato in ospedale e Antonio è sospeso dall’insegnamento. Stufo della situazione, Nicola lascia moglie e figli per cercare fortuna a Roma, partecipa addirittura a “Lascia o raddoppia?”, ma perde tutto alla domanda finale e così inizia una strampalata carriera da critico cinematografico e intellettuale da quattro soldi. I tre compagni successivamente si ritrovano e, durante una cena, fanno il bilancio delle loro vite. Sorprendentemente, Antonio rivela d’aver ritrovato Luciana e d’essersi sposato con lei; Nicola, imbestialito dalla notizia, litiga con l’amico; Gianni, per rappacificarli, si prende tutta la colpa della loro situazione con lei. Andando via, Gianni perde la patente e Luciana con gli altri due gliela riporta a casa, dove scoprono che l’avvocato arrivista possiede una splendida villa e conduce vita agiata, amaro frutto della sua scaltrezza di pochi scrupoli.
Note a margine
C’eravamo tanto amati è dedicato alla memoria di Vittorio De Sica. Scomparso mentre il film era in fase di missaggio, non è sicuro che egli abbia fatto in tempo a vederne una copia lavoro. Nel film il cineasta appare in un documento realizzato da Ettore Scola in occasione d’una manifestazione organizzata dal quotidiano “Paese Sera”; in queste immagini De Sica spiega a un gruppo di bambini come era riuscito a far piangere Enzo Stajola, il piccolo interprete di Ladri di biciclette.
Originariamente, come racconta lo stesso Scola in un’intervista, la figura di De Sica costituiva il fulcro centrale del soggetto elaborato insieme ad Age e Scarpelli: un pedinamento lungo trent’anni a un professore di provincia rimasto colpito dalla visione di Ladri di biciclette nel cineclub della sua città. In seguito quest’idea risultò un po’ riduttiva: in questo modo il film si sarebbe occupato soltanto di cinema. Gli autori decisero così di introdurre altri due personaggi emblematici, un borghese e un proletario.
Il film è dominato da una sorta di pessimismo ricollegabile alla sconfitta di una generazione “sfortunata”, quella dell’Italia del dopoguerra tra DC, forze di destra e capitalismo americano: gli ideali della Resistenza si sono insabbiati nel conformismo politico e nell’egoismo individuale. Utilizzando il cinema come testimone e strumento rivelatore, Scola ci mostra una società che si mette a nudo davanti alle esigenze dello spettacolo. C’eravamo tanto amati costituisce quindi una delle analisi più raffinate che il cinema abbia prodotto sull’evoluzione della società italiana tra la fine della guerra e gli anni Settanta.
Il film vinse tre Nastri d’Argento (miglior sceneggiatura, miglior attore non protagonista ad Aldo Fabrizi e miglior attrice non protagonista a Giovanna Ralli), il Gran Premio al Festival Cinematografico internazionale di Mosca, il Premio César per il miglior flm straniero (1977).