A Napoli il cantastorie don Salvatore Esposito vive con la numerosa famiglia in una misera catapecchia. Il poveretto, sfrattato, se ne va con i familiari per le vie della città spingendo il pianino di Barberia con le partiture delle canzoni. Un colpo di vento strappa via i fogli e sullo schermo si animano le vicende che formano l’argomento delle canzoni. Le vicissitudini del cantastorie e della sua famiglia, perennemente in lotta con le comuni necessità di sopravvivenza, sono il filo conduttore che unisce secoli di storia. Dai pirati barbareschi agli anni del secondo dopoguerra, i momenti storici della città sono affidati ciascuno a un balletto o a una canzone: “Michelemmà”, “A cammesella”, “Le 99 disgrazie di Pulcinella”, “E spingole frangese”, “Lilì Kangy”, “O surdato ‘nnammurato” e molte altre. Sempre amaro e dolente ma senza perdere mai la speranza il cantastorie continua il suo cammino e, prima di allontanarsi nella via battuta dal vento, accompagnato dalla musica, accoglie nella sua famiglia un giovane cantante innamorato della figlia maggiore.
Note a margine
Uno dei due film da regista dello sceneggiatore Ettore Giannini, che a teatro fu sperimentatore portando Marcel Pagnol, Anton Čechov, George Bernard Shaw, Lev Tolstoj, rappresenta un’esperienza singolare nel panorama del cinema italiano dove non esiste una tradizione di musical. Carosello napoletano rivive secoli di patrimonio folklorico attingendo alla ricchissima tradizione musicale e macchiettistica partenopea. La scioltezza della recitazione, la vivace ricostruzione scenografica (soprattutto dei “bassi”), la raffinatezza dei costumi e la felice fusione di elementi musicali e coreografici – ereditati dalla tradizione teatrale – lo rendono uno spettacolo piacevole e non privo di sfumature drammatiche che si distacca nettamente dalla produzione corrente.
Il film ebbe una Menzione speciale della giuria a Cannes (1954) e il Nastro d’argento per miglior scenografia a Mario Chiari (1955).