Nella prima metà degli anni ’30, l’adolescente Titta nel suo Borgo sta crescendo, condizionato dall’ambito famigliare e dai ricordi: suo padre Aurelio e i suoi litigi con la moglie Miranda; lo zio Pataca che si fa mantenere; lo zio Teo che è considerato matto e rinchiuso in manicomio; il nonno che non cede e si gode la propria salute prendendosi qualche libertà con la domestica. E fuori casa un’altra sfilata di personaggi: Gradisca, procace parrucchiera; Volpina, ragazza senza freni inibitori che viene usata per il piacere sessuale; una tabaccaia mostruosa, con un seno invadente; un avvocatucolo che non sta mai zitto e si gonfia di discorsi; il matto Giudizio; il bugiardo Biscein; il motociclista esibizionista a cui piace passare rombando per la via e altri, dal mondo della scuola, della chiesa, degli amici di provincia e delle feste fasciste: ognuno con un proprio modo di stare bislacco nel mondo altrettanto assurdo e inesorabile, come la neve che cade improvvisa, come la nebbia o i fiori che spargono nell’aria le proprie magiche “manine”.
Note a margine
Ambientato in una Rimini sognata e ricordata e reinventata, Amarcord è un film felliniano al cento per cento, con la realtà spinta al limite del surreale e del grottesco e la galleria dei personaggi insieme presi in giro ed evocati con tenerezza: i professori di ginnasio, i militanti fascisti, i parenti, soprattutto le donne, e poi tutto il paesaggio attorno, fatto di eventi considerati eccezionali (il passaggio della Mille Miglia, l’apparizione del transatlantico Rex, l’arrivo del duce ecc.), o buffi (lo zio matto che sale sull’albero, le burle dei compagni ecc.).
«Forse Fellini non pensa deliberatamente a basare i suoi film sulle immagini del passato: son loro che lo perseguitano, finché non riaffiorano dal chiuso del subconscio. Convivendo pressoché quotidianamente col sogno, Fellini non poteva valersi di miglior mezzo di rappresentazione che dell’espressione filmica. E come si potrebbero rappresentare i sogni se non col cinema? Le sue visioni oniriche sono esse stesse linguaggio cinematografico» (Mario Verdone).
Il film ha vinto il premio Oscar come miglior film straniero e il Nastro d’argento nel 1974.