Un secolo, quello appena trascorso, raccontato attraverso le vite parallele e antagonistiche di Alfredo Berlinghieri, figlio di ricchi possidenti terrieri e futuro erede del padrone, e di Olmo Daccò, di umili origini contadine. I due personaggi, nati lo stesso giorno, prima amici, poi indifferenti, infine rivali, vivono gli eventi che segnano la storia del ‘900: dopo le lotte contadine d’inizio secolo, i primi scioperi nei campi e la prima guerra mondiale, i due giovani si sposano. Durante il fascismo, che si schiera con i padroni, Alfredo e Olmo si separano: il primo si rifugia nel privato, il secondo continua a lottare. Il 25 aprile 1945, i padroni vengono processati e i due si ritrovano inevitabilmente contrapposti dalla loro appartenenza a due mondi inconciliabili. Un kolossal sulla lotta di classe antipadronale.
Note a margine
Il film è realizzato con capitali americani e viene presentato al pubblico suddiviso in due parti per esigenze commerciali. L’intento del regista de Il conformista sembra essere quello di coniugare il cinema politico, per definizione “povero”, a basso budget e restio a concedere spazio all’elaborazione formale della messa in scena, con lo spettacolo di tradizione hollywoodiana; una sorta di fusione tra realismo socialista sovietico e cinema classico americano. La saga familiare, dal tono epico da romanzo ottocentesco e, in alcuni passaggi, melodrammatico, viene narrata col ritmo disteso dei grandi kolossal. L’impianto scenico è denso di rimandi figurativi e il linguaggio è caratterizzato dalla fusione di diversi registri stilistici, assieme ad attori di provato talento ma di diversa estrazione, quasi a testimoniare la padronanza che il regista ha ormai acquisito dei mezzi cinematografici, assieme alla volontà di metterli al servizio delle sue suggestioni ideologiche. Di grande efficacia e raffinatezza estetica, il collegamento dei flussi vitali dei personaggi unito all’alternarsi delle stagioni e al mutare del paesaggio naturale, presenta soluzioni registiche che si avvalgono del contributo decisivo del direttore della fotografia Vittorio Storaro che aveva già ne Il conformista evidenziato la sua personale concezione delle funzioni espressive della luce. Il film fu accolto, nel 1976, con polemiche e suscitò un accalorato dibattito che ha diviso tanto il pubblico quanto la critica.