Dopo aver sgozzato la propria masochista amante, il capo della Sezione Omicidi della questura di Roma cade preda di un perverso quanto schizofrenico ragionamento: fino a che punto il ruolo di capo dell’ufficio politico al quale proprio nello stesso giorno dell’omicidio è stato promosso lo mette al riparo da ogni possibile sospetto? La macchina poliziesca della quale fa parte si esporrebbe a una grave perdita di credibilità incriminando un dirigente del suo rango?
Così il poliziotto comincia a seminare indizi e tracce che lo accusano, esaltato dall’ebbrezza di un potere la cui capacità di alterare la verità dei fatti, e anzi di produrne una istituzionale, intende verificare sino in fondo.
Ciò che accade è che i superiori del poliziotto non prendono in considerazione neppure la sua esplicita confessione. L’unico che potrebbe denunciarlo, uno studente contestatore, non lo fa poiché (ragionando in fondo allo stesso modo) trova più comodo credere che coloro che dirigono la repressione politica sono tutti criminali come lui.
Gian Maria Volontè costruisce in modo indimenticabile la maschera psico-somatica dietro la quale il personaggio nasconde la propria nevrosi e la propria condizione di piccolo borghese meridionale frustrato che affida all’autorità e al potere burocratico il proprio riscatto sociale.
Note a margine
Petri riesce a orchestrare la messa in scena aprendo e chiudendo abilmente il registro realistico a toni grotteschi e situazioni paradossali che ricordano certo cinema dell’est, aduso a occuparsi degli arbitrii cui è esposto l’esercizio dell’autorità e del potere con risultati estetici la cui qualità è universalmente riconosciuta.
Petri sembra voler espilicitamente evitare di delimitare l’orizzonte del suo lavoro. Non si tratta di “cinema politico”, tutto concentrato sulla cronaca italiana dell’epoca, ma di un’opera che si colloca all’interno di una tradizione più vasta, con riferimenti letterari (non a caso il film si chiude con una citazione da Franz Kafka). Il taglio delle riprese è asciutto, il linguaggio maturo, la direzione degli attori sicura.
Girato in esterni a Roma (via del Tempio, EUR, piazzale Caravaggio, Pantheon) e negli studi della Incir De Paolis. Premio Oscar miglior film straniero (candidato come miglior sceneggiatura originale Elio Petri e Ugo Pirro, gli autori), Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, 3 Nastri d’argento (regia, soggetto, attore protagonista), 2 David di Donatello (miglior attore e miglior produzione), Grolla d’oro a Gian Maria Volontè.
Nella stagione 1969-70 il film, con un incasso di 1.928.240.000 lire si classificò al settimo posto tra i film più visti in Italia (tra i primi sei, cinque erano comunque italiani).