Bonifacio, disegnatore ventisettenne, girovaga per Venezia decidendo se accettare o meno il lavoro per una grande industria, che a fronte di un buon guadagno lo porterebbe a incanalarsi nel sistema che vorrebbe combattere. Mentre vaga senza meta, riflette e ricorda la sua vita: la storia d’amore con Gabriella, finita dopo un aborto, un vecchio amico, Claudio, che pensava da sempre al lavoro come un valore assoluto, la guerra, i partigiani, gli scherzi goliardici degli amici e le idee anarchiche dei suoi compagni, alcuni dei quali finiti in manicomio proprio per questioni ideologiche. Ma vagare non è il modo migliore per affrontare e combattere il sistema e il suo impegno si rivela inconcludente.
Note a margine
Circa 20 anni prima di passare alla storia come re dell’erotismo italiano, Tinto Brass – all’anagrafe Giovanni – esordisce con un film che inquadra i subbugli politici che dal boom e dalla rinascita economica porteranno al ’68 e alla contestazione giovanile. Chi lavora è perduto è una sorta di road movie a piedi, lungo calli e scorci di Venezia che si muove a metà strada tra la riflessione impegnata sui valori, sulla ribellione al sistema e sulla morte di certi ideali (quelli incarnati dalle immagini di Paisà di Roberto Rossellini che si vedono nel corso del film) e il gioco anarchico, goliardico, bizzarro sulla città e i suoi personaggi, commentati fuori campo dal protagonista Sady Rebbot, spesso in dialetto. Anche lo stile vive questa ricercata schizofrenia, alternando attimi di sconsolato realismo e montaggio frammentario (dello stesso Brass), forza descrittiva e sperimentazioni visive, dichiarando al contempo l’amore per Rossellini, appunto, e per Jean-Luc Godard.
Fin dall’esordio, il regista s’imbatté nello scandalo dell’opinione pubblica, tanto per le provocazioni politiche quanto per il carnale edonismo che filtra dalle immagini. Tra stroncature dei critici e ire della censura che impose tagli e modifiche al film, Brass riuscì ad aggirare l’ostacolo cambiando il titolo della pellicola (In capo al mondo) e non toccando una sola scena né scorciando un solo fotogramma.
Il regista appare in un doppio cameo, come paparazzo al Lido durante la Mostra del Cinema e come controfigura di Rebbot durante le scene della voga.