Guido è un regista in crisi esistenziale e creativa che non sa decidersi su quale film fare, mentre si scatenano attorno a lui le aspettative di produttori, giornalisti e amici affinché produca un altro dei suoi capolavori. Ma tra affetti, ricordi e bugie, grattacapi sentimentali e questioni spirituali, pieno di complessi e di sogni, Guido si lascia prendere dall’atmosfera da limbo in cui vive, sognando che le donne della propria vita siano tutte insieme presenti e compatibili tra loro, i collaboratori e i consiglieri, gli amici e gli estranei, tutti i personaggi che sfilano tra passato e futuro, tra vivi e morti, tra persone reali e immaginarie, siano alla fine tutti presenti e accettati in un girotondo assurdo e benevolente, perché in fondo la vita non è che una festa.
Note a margine
«Fare un film è come fare un viaggio, ma del viaggio mi interessa la partenza, non l’arrivo. Il mio sogno è fare un viaggio senza sapere dove andare, magari senza arrivare in nessun posto, ma è difficile convincere banche e produttori ad accettare questa idea» (Federico Fellini).
Il film è stato definito una «sgangherata seduta psicanalitica […] disordinato esame di coscienza» (Fellini), «la masturbazione di un genio» (Dino Buzzati) e «una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca» (Alberto Arbasino). Diario di bordo di un autore in crisi, con straordinaria onestà intellettuale e visionaria immaginazione visiva e sonora, il film è stato apprezzato soprattutto dalla gente di cinema che ne ha fatto una specie di bandiera e un sempre verde. Girato alle terme di Chianciano, ha vinto due Oscar: per i costumi di Pietro Gherardi, e come miglior film straniero; sette Nastri d’argento: miglior film, produttore (Angelo Rizzoli), soggetto, sceneggiatura, attrice non protagonista (Sandra Milo), colonna sonora (Nino Rota) e fotografia (Gianni Di Venanzo). Il titolo si riferisce al fatto che è stato il suo ottavo film e mezzo (cioè contando Luci del varietà a metà con Alberto Lattuada).