Due ragazze, un’estate calda e soffocante, il desiderio di andare via da un piccolo paese di provincia. Luisa è piena di vita, disinibita, trasgressiva; Renata è oscura, arrabbiata, bisognosa d’amore. Le vite delle due giovani raccontano la storia di un ricatto, di un amore tradito, di una violenza subita: Luisa usa Bilal, il suo fidanzato albanese, Renata usa il corpo di Luisa per muovere i fili della propria vendetta. Entrambe vogliono lasciare la piccola comunità che le ha cresciute, tra feste di paese e raduni indipendentisti, famiglie sfinite e nuove generazioni di migranti presi di mira da chi si sente sempre minacciato. Luisa, Renata e Bilal rischieranno di perdersi, di perdere una parte preziosa di sé, di perdere chi amano, di perdere la vita.
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Il regista, al suo primo film di finzione, decide però il titolo di Piccola patria forse per nobilitare con un colpo di coda il territorio in cui si svolge la storia (una finzione, come ho detto, legatissima alla cronaca), in cui è possibile, forse ancora abitare, fare Heimat. Ma con quale fatica? E perché? Ci sono piccoli segni: intanto la sospensione nel finale che lascia il film aperto quasi in equilibrio tra tragedia e commedia («è tuo padre? e perché ha una pistola?»); quindi le piccole precedenti tracce di “possibile” incastonato tra le pieghe del “reale”: qualche raro gesto spensierato, qualche sorriso sfuggito, qualche incontinenza giovanile, magari solo una mano che carezza distratta un cavallo. Dall’altra parte: i pregiudizi, la provincialità, il desiderio di sola ricchezza di moneta, la decadenza dell’incesto e della finta amicizia (quella che offre, mirata e strumentale, Rino a Franco), le armi. Il film non ci fa sognare, non ha la fantasia o l’epica del cinema classico, e tuttavia nonostante tutto è aperto ai lampi d’una possibile residua saggezza (si pensi alle frasi che scappano al vecchio interpretato da Giulio Brogi) e più d’ogni altra cosa ci fa riflettere su cosa siamo diventati e dove stiamo andando, soprattutto in questa piccola patria del nord-est veneto.
Dalle Note di regia
Sarebbero potute accadere in una qualsiasi provincia del pianeta, ma ho cercato nel Nordest italiano le storie che compongono il racconto di Piccola Patria. Lì ho visto fondersi tra loro quelle atmosfere, la lingua, i volti e i personaggi, le dinamiche personali e di gruppo. Il mio approccio al film è stato fisico: partendo da una sceneggiatura pronta a essere distrutta, ho voluto creare un vortice estivo che legasse improvvisazione e osservazione, ricerca e creazione dei personaggi.