Le cose belle

Anno:
2013
Durata:
88

Sinossi

Si dice che il tempo aggiusta tutto… Ma chissà se il tempo esiste davvero? Forse il tempo è solo una credenza popolare, una superstizione, una scaramanzia, un trucco, una canzone. Il tempo si passa a immaginare, ad aspettare, e poi, all’improvviso, a ricordare. Ma allora, le cose belle arriveranno? O le cose belle erano prima?

La fatica e la bellezza di crescere al Sud in un film dal vero che narra tredici anni di vita. Quella di Adele, Enzo, Fabio e Silvana, raccontati in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la prima giovinezza nella Napoli piena di speranza del 1999 e l’inizio dell’età adulta in quella paralizzata di oggi.

Quando nel 1999 Ferrente e Piperno realizzarono Intervista a mia madre, un documentario per Rai Tre che voleva raccontare dei frammenti di adolescenza a Napoli, ai loro quattro protagonisti chiesero come si immaginavano il loro futuro: loro risposero con gli occhi pieni di quella luce speciale che solo a quell’età possiede chi ancora sogna “le cose belle” e con quell’auto-ironia tipica della cultura partenopea che li aiuta a sdrammatizzare, esorcizzare e, spesso, rimuovere gli aspetti problematici della loro vita. Al tempo stesso da quegli occhi traspariva una traccia di scaramantico disincanto. Forse perché la catastrofe imminente, sempre in agguato nella loro città, è una minaccia – nonché un alibi – che rende spesso le vite dei napoletani cariche di rassegnazione, e questo Adele, Enzo, Fabio e Silvana lo sapevano, per istinto e per educazione.

Dieci anni dopo, passando dalla Napoli del rinascimento culturale, che attirava artisti da tutto il mondo, a quella sommersa dall’immondizia, i registi sono tornati a filmare i loro quattro protagonisti per un arco di tre anni: oggi l’auto-ironia ha ceduto il posto al realismo, e alle “cose belle”, Fabio, Enzo, Adele e Silvana non credono più. O forse hanno imparato a non cercarle nel futuro o nel passato, ma nell’incerto vivere della loro giornata, nella lotta per un’esistenza, o sarebbe meglio dire, resistenza, difficile ma dignitosa: spesso nuotando controcorrente, talvolta lasciandosi trasportare.

Dalle Note di regia

Questo ci creò un disagio palpabile: causato dalla difficoltà della loro condizione, dalla situazione di Napoli, che ormai stava andando alla deriva sotto gli occhi del mondo, e dalla paura di speculare cinematograficamente su tutto questo. La paura e il disagio si sono poi affievoliti, fino a sparire, grazie alla loro forza vitale, all’indisponibilità ad arrendersi, alla dignità con cui cercavano di rimanere a galla. E se da una parte certi sguardi spenti e privi di sogni ci sembravano la conferma di come tutto fosse andato come previsto, dall’altra, quegli stessi sguardi, ci comunicavano la fine dell’innocenza e l’inizio di una disincantata consapevolezza che li metteva in pace con se stessi. I nostri due ragazzini erano diventati uomini, così diversi tra loro ma ugualmente legati dalla precarietà del lavoro. Le due ragazze adolescenti erano donne, una delle due mamma di una bimba, l’altra mamma “adottiva” di sua madre e dei suoi fratelli.

Trailer:
Artistic Cast:
Enzo della Volpe Fabio Rippa Adele Serra Silvana Sorbetti
Crew:
scritto e diretto da Agostino Ferrente Giovanni Piperno fotografia Giovanni Piperno montaggio Paolo Petrucci Roberta Cruciani con la collaborazione di Alessia Gherardelli David Tomasini aiuto regia e secondo operatore Sebastiano Mazzillo suono in presa diretta Max Gobiet Daniele Maraniello Marco Saveriano musica Rocco De Rosa Canio Loguercio Alessandro Murzi voce off scritta con Maurizio Braucci Paolo Vanacore una produzione Pirata M.C. Parallelo 41 Point Film Bianca Film Ipotesi Cinema prodotto da Donatella Botti Antonella di Nocera Agostino Ferrente Donatella Francucci Betta Olmi Giovanni Piperno con il sostegno di Pasta Garofalo con la collaborazione di Ananas Blue Film Fondazione Bideri si ringrazia Regione Campania - Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali Film Commission Regione Campania sviluppo progetto e organizzazione riprese Antonella di Nocera consulenza legare e organizzativa Natalia Paoletti distribuzione italiana Istituto Luce - Cinecittà
Direction notes:
«Tutto nasce da Intervista a mia madre I protagonisti de Le cose belle sono gli stessi di documentario che realizzammo nel 1999 a Napoli, per Rai Tre, co-prodotto con Teatri Uniti, intitolato Intervista a mia madre, nel quale raccontavamo la vita di due ragazzi dodicenni e due ragazze quattordicenni e del loro rapporto con le proprie famiglie e principalmente con le mamme. Li filmammo in quella fase della vita in cui gli occhi brillano di una luce speciale e in una città dove tutto sembrava più forte: la violenza, le speranze, l'energia, la sensualità, la rassegnazione. La relazione tra noi fu intensissima. Inoltre capitammo a Napoli in un periodo storico in cui la città sembrava guardare al futuro con ritrovata fiducia. E anche loro, Adele, Enzo, Fabio e Silvana, seppur armati di scaramantico disincanto, covavano legittime attese verso il futuro. Di fatto tentammo di usare quel periodo per renderli più consapevoli della loro condizione esistenziale e, dove possibile, dare una mano nelle loro vite difficili. Ma avevamo la scadenza della messa in onda e delle nostre sei settimane a disposizione per le riprese due le consumammo per individuare i nostri quattro protagonisti, così che ce ne rimasero solo quattro da dedicare a loro, sia umanamente che cinematograficamente. E quattro settimane per quattro vite sono piuttosto poche e da allora ci è sempre rimasto il desiderio di poter approfondire di più. Anche perché quando si filma la vita di una persona, il rapporto che si crea tra chi filma e chi è filmato è essenziale. Ognuno mette se stesso nelle mani dell'altro: il regista mette il suo film nelle mani dei suoi protagonisti e questi affidano al regista il racconto di una parte delle loro vite. Si crea un forte legame, diverso, forse, dall'amicizia o dall'amore, ma non meno profondo: per realizzare un documentario è necessaria una fiducia reciproca assoluta. Nel rispetto di tale fiducia non abbiamo mai interrotto il legame con loro, anche dopo che Intervista a mia madre ebbe un bel successo, vincendo premi e venendo trasmesso in tv in prima serata con record d'ascolto per un prodotto del genere. Anzi, forse anche alla luce di questo crebbe in noi la sensazione di aver avuto una qualche responsabilità nel destino di questi ragazzi diventati adulti. Pur avendo provato, nel tempo, ad aiutarli concretamente, il senso d'impotenza ci ha spinto a tornare a cercarli ancora. E già nel 2002, eravamo tornati a Napoli, dove, con Antonella Di Nocera, che fu indispensabile tre anni prima per trovare i protagonisti, realizzammo un laboratorio per insegnar loro ad usare le telecamere da soli, e poi, ispirati dal loro girato e dai loro racconti, scrivemmo un trattamento per un film nel quale si mescolava realtà e messa in scena. Ma per motivi produttivi il progetto naufragò. Dieci anni dopo Nel 2009, decidemmo di riprovare a concedere a loro e a noi stessi la tanto desiderata seconda possibilità. Antonella, divenuta lei stessa produttrice, aveva ottenuto un piccolo finanziamento dalla Regione Campania che ci permise di poter mettere in piedi una prima trance di nuove riprese, che poi, sia per scelta artistica che per difficoltà finanziarie, potemmo completare in un arco di tre anni. Consapevoli di non essere né i primi né gli ultimi registi intenzionati a scoprire anni dopo che fine hanno fatto i loro personaggi, nel riavvicinarci ad Adele, Enzo, Fabio e Silvana ci rendemmo subito conto di non essere riusciti, anche se non era certo nostro compito, a salvarli dalla catastrofe della loro città, dove ogni speranza di rinascita era stata, ancora una volta, sistematicamente delusa: le loro esistenze sembravano ferme, cristallizzate, senza alcuna speranza di miglioramento. Questo ci creò un disagio palpabile: causato dalla difficoltà della loro condizione, dalla situazione di Napoli, che ormai stava andando alla deriva sotto gli occhi del mondo, e dalla paura di speculare cinematograficamente su tutto questo. La paura e il disagio si sono poi affievoliti, fino a sparire, grazie alla loro forza vitale, all'indisponibilità ad arrendersi, alla dignità con cui cercavano di rimanere a galla. E se da una parte certi sguardi spenti e privi di sogni ci sembravano la conferma di come tutto fosse andato come previsto, dall'altra, quegli stessi sguardi, ci comunicavano la fine dell'innocenza e l'inizio di una disincantata consapevolezza che li metteva in pace con se stessi. I nostri due ragazzini erano diventati uomini, così diversi tra loro ma ugualmente legati dalla precarietà del lavoro. Le due ragazze adolescenti erano donne, una delle due mamma di una bimba, l'altra mamma "adottiva" di sua madre e dei suoi fratelli. Tutti e quattro testimoni di una napoletanità che ben presto scoprimmo essere l'anticamera locale di quello che sistematicamente succedeva, poco dopo, a livello globale. Perché forse a Napoli è l'Italia al cubo, e non solo l'Italia… Questa esperienza ci ha definitivamente confermato che difficilmente un documentario può cambiare una vita, però i nostri protagonisti - così come forse i loro coetanei - attraverso questo film possono essere più consapevoli di quante cose belle scaturiscano dalle loro esistenze, nonostante tutto. I diversi linguaggi da amalgamare Intervista a mia madre era stato girato con tempi e modi dettati dalla committenza televisiva, con i personaggi che guardavano in macchina, riferendosi agli autori, talvolta rispondendo alle loro domande. Questo ci consentiva di essere veloci, sia a livello di ripresa che di montaggio, esaurendo gli argomenti col racconto dei protagonisti. Dieci anni dopo la sfida è stata molto più complicata ed emozionante e si è prolungata per tre anni, con la scommessa di visualizzare il loro quotidiano con sguardo cinematografico, senza interviste e con la costante ricerca di una drammaturgia agita e non raccontata. Tutto questo cercando di realizzare un film che non fosse parassitario del precedente, ma che avesse una sua autonomia, per renderlo fruibile anche senza aver visto Intervista a mia madre. Questa prima sfida ne inglobava una seconda di metodo: resistere alla tentazione di filmare i protagonisti che si riguardano nelle nostre immagini di anni prima, commentando in stile "come eravamo", e di non usare quindi, come elemento narrativo o addirittura come filo conduttore, il rapporto tra noi e loro, che avrebbe implicato l'inevitabile e facile ricorso all'uso diaristico dell'io narrante, con, magari, la presenza di noi registi nel film, tecniche queste, abbastanza consuete nel cosiddetto documentario "di creazione". Questa scelta ha implicato una serie di difficoltà al montaggio: soprattutto quando si è trattato di amalgamare in un unico film lo stile delle nuove riprese effettuate dal 2009 al 2012 con quello del repertorio pescato dal girato del 1999.» Agostino Ferrente e Giovanni Piperno

Selezione film

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