È il film più estremo e potente di Bellocchio. Il più storico-politico. Il più melodrammatico e straziante. Il più lungo e veloce. Il più ellittico, anche troppo nella prima parte. Il più esteso nell’azione (vent’anni e più). Il più antifascista. Il più femminista. Il più feroce, anche nell’erotismo. Stilisticamente il più svariante nei toni, dal lirico al grottesco, e il più complesso nei temi. Il più espressionista (grazie alla fotografia di Daniele Ciprì). Il più metacinematografico anche senza citazioni da cinefilo (Il monello di Chaplin). Il più bianco e nero dei suoi film a colori, con un uso dei cinegiornali dell’epoca straordinario in funzione narrativa. Il più creativo del genere biografico. Il più fisico (i corpi del potere). In tutta la storia del cinema italiano non esiste un film che abbia come protagonista una donna altrettanto epica – e non popolana – pur nei suoi limiti e difetti. Se qualcuno ha potuto dire che parlare di Berlusconi è fare la biografia di una nazione, quello di Bellocchio è, attraverso Mussolini, il suo film più antitaliano. La trentina Ida Dalser (1880-1937) combatte, da sola, la sua inane battaglia contro il potere, contro l’uomo che ama e che, da Duce, ne cancella l’esistenza come matta da legare, con la complicità delle autorità, dei medici, delle suore. Combatte anche in nome del figlio Benito Albino (1915-42), senza capire che – chiuso in manicomio come lei – diventa una vittima sua, non solo del padre. Dal 1922 in poi Mussolini (un ottimo Timi), che ormai recita la parte del Duce, scompare. Ida lo vede solo al cinema. E il peso del film rimane sulle spalle, e negli occhi, di una straordinaria Mezzogiorno.
(sinossi tratta da ilMorandini – il Dizionario completo dei film di Laura, Luisa e Morando Morandini)